Esistono diversi modi di concepire il Surrealismo.
Lo si può intendere come movimento organizzato, che prende vita nel 1924 con la pubblicazione del Manifesto e che si identifica in primo luogo con le scelte del suo fondatore e teorico André Breton, oppure lo si può intendere come una visione del mondo, una concezione dell'arte e della vita, che esiste da sempre e non avrà mai fine.
Vi è poi una visione più sfumata che, pur salvaguardando la dimensione storica del Surrealismo, ne rintraccia lo spirito nelle opere che ha prodotto, valutandone l'attuazione concreta nell'incontro tra le personalità creatrici e l'urgenza delle nuove istanze che si fanno strada a partire dai primi anni venti.
In quest'ottica, la produzione di Dalí non può non apparire come l'incarnazione più coerente della poetica surrealista.
Paradossalmente, è stata proprio la sua assoluta fedeltà al dettato del Manifesto ad allontanarlo dai compagni e a provocare la sua estromissione dal gruppo.
In particolare, è stata la sua incessante applicazione del “dettato del pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di qualsiasi preoccupazione estetica o morale”, a determinare la scomunica di Breton.
È per questo che Dalí continuerà a considerarsi l'unico “surrealista integrale”.
Certamente, la personalità e la produzione di Dalí non si esauriscono nel Surrealismo.
Il tempo ha rivelato in modo ormai inequivocabile che l'artista ha assimilato tutti gli stimoli del Novecento, e a sua volta ha contribuito a definire alcuni dei paradigmi più caratterizzanti dell'arte contemporanea.
Ma del Surrealismo Dalí ha fatto una regola di vita, una vita senza regole, appunto, se non quelle dettate dal suo mondo interiore, dalle sue ossessioni e dalle sue idiosincrasie.
La sua vicenda, infatti, è contraddistinta da una assoluta continuità tra arte e vita, dalla ininterrotta costruzione del proprio personaggio, dall'intento dichiarato di fare della propria vita un'opera d'arte.
Se questo è stato in parte il motore del suo grande successo commerciale, di una notorietà senza eguali presso il grande pubblico e di una costante attenzione da parte dei media, d'altro canto è stato anche la causa di una sorta di diffidenza da parte della critica più esigente, che solo negli ultimi anni ha iniziato ad abbandonare i tradizionali pregiudizi sulla sua figura.
Questo mutamento di prospettiva non si deve solo al naturale processo di storicizzazione che si accompagna al trascorrere del tempo, ma anche al fatto che gli sviluppi più recenti delle arti visive hanno gettato nuova luce, retrospettivamente, sulla vicenda di Dalí, che oggi ci appare come il prototipo dell'artista contemporaneo e il fautore di una nuova classicità.
In effetti, si potrebbe aggiungere che il suo percorso creativo si pone come la risposta – una delle risposte possibili – al vuoto di senso che si è aperto tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo con quella “filosofia della crisi” che Dalí ha precocemente assimilato nelle sue letture giovanili e che costituisce la base su cui poggia l'edificio della sua poetica.
Fin da giovane, Dalí sviluppa una sorta di ipertrofia dell'ego che lo pone come unico diaframma del mondo reale.
Scandaglia le proprie pulsioni interiori, le paure e i desideri repressi, accentua la propria facoltà visionaria fino al parossismo, investendo ogni aspetto del mondo reale di significati che derivano dalla proiezione delle proprie ossessioni.
Ma ciò che sorprende è il rigore quasi sistematico con cui ha organizzato il proprio pensiero, in virtù del metodo paranoico-critico che, anche secondo i suoi numerosi detrattori, costituisce il principale contributo di Dalí al Surrealismo.
Delirio visionario e lucida sorvegliatezza sono elementi inscindibili della sua poetica, entrambi essenziali per la creazione di quell'universo daliniano in cui si coagulano tutte le contraddizioni dell'artista e del suo tempo.
Infatti, il proposito che Dalí condivide con i surrealisti è quello di sovvertire le regole che governano la percezione di sé e del mondo, di codificare un nuovo sistema linguistico che colmi il divario tra la sfera dell'io e quella della realtà esterna.
E alla realtà esterna Dalí ha prestato costante attenzione, mostrandosi incredibilmente ricettivo nei confronti dei mutamenti culturali della propria epoca e straordinariamente pronto ad assimilarli nel proprio orizzonte creativo.
Avvalendosi dei mezzi espressivi più diversi, Dalí ha dato forma a questa esigenza lungo tutta la sua attività.
Molto si è discusso sul contributo spagnolo al Surrealismo, e per quanto sia azzardato sostenere che in Francia esso abbia una matrice esclusivamente letteraria e che solo gli spagnoli abbiano fornito un apporto decisivo allo sviluppo di una pittura propriamente surrealista, certo è che l'inclinazione visionaria che da sempre connota la produzione artistica della Spagna si presta naturalmente all'incontro con i presupposti del Surrealismo storico.
Dalí, che di questa inclinazione è uno dei più eccellenti rappresentanti, entra a far parte del gruppo nel 1929 grazie alla mediazione del conterraneo Miró e grazie alla collaborazione con Buñuel alla sceneggiatura del film Un chien andalou .
Il suo ingresso nel Surrealismo reca dunque il segno delle sue origini, ed è l'esito naturale di un percorso che l'artista aveva intrapreso nel corso del decennio precedente.
A quella data, infatti, Dalí è ormai approdato a una maniera del tutto personale, in cui si fondono tutti gli elementi della formazione: non solo l'esaltazione della soggettività nei processi conoscitivi, ma anche la perfetta padronanza dei mezzi espressivi, acquisita grazie dell'educazione rigorosamente accademica che gli è stata impartita; la profonda conoscenza della storia dell'arte, che deriva dall'attento studio dei grandi maestri del passato e dalla precoce sperimentazione dei linguaggi più recenti (dal Postimpressionismo al Cubismo); la curiosità per i fermenti più innovativi della cultura europea, unita a un profondo attaccamento alla propria terra d'origine, e la volontà di dar vita a un nuovo linguaggio per esprimere le tematiche più attuali.
A quella data, inoltre, l'artista ha già sviluppato il suo metodo paranoico-critico, che espone nel saggio L'âne pourri , pubblicato nel 1930 su “Le Surréalisme au service de la révolution”.

Le opere che nascono in questa fase mostrano lo sviluppo della sua poetica, a cominciare da Il grande masturbatore , che rappresenta una summa delle sue ossessioni.
Un gigantesco autoritratto domina la scena, ambientata in un paesaggio catalano.
La testa dell'artista è rivolta verso il basso e tiene gli occhi chiusi, ad evocare la fase del sonno in cui prendono forma i desideri e le paure più riposte.
Dal suo collo si sviluppa la sagoma di un busto femminile, che si protende verso il pube di una figura maschile pietrificata di cui vediamo solo la parte inferiore, cosparsa di rivoli di sangue.
L'immagine centrale è costellata da figure che ricorrono nella produzione dell'artista: una gigantesca cavalletta e un gruppo di formiche fameliche (insetti per cui aveva sviluppato una vera fobia), una coppia di amanti che ricordano i manichini metafisici, una figura solitaria che si allontana verso l'orizzonte, una forma molle appesa alla sua testa tramite una specie di uncino e un animale mostruoso (forse la deformazione di un leone, che normalmente simboleggia l'autorità paterna), dalla lingua manifestamente fallica.
Pulsioni sessuali, desideri repressi e fobie si fondono in quest'opera dal valore programmatico, nata dalle libere associazioni scaturite dalla visione dell'immagine di una donna che odora un fiore, secondo il metodo paranoico-critico.
Ma se Dalí si rivolge ai meandri più reconditi della mente, d'altro canto è ugualmente attento a tutti i processi che investono la materia.
In questa fase conia una vera e propria poetica della metamorfosi e della decadenza, e non a caso uno dei motivi più ricorrenti nella sua produzione è “l'asino putrefatto”.
Si veda Piccole ceneri , che riproduce la parte inferiore dell'omonimo dipinto realizzato alla fine degli anni venti, e manifesta il profondo legame di amicizia e affinità intellettuale tra il pittore e il poeta Federico García Lorca.
Su uno sfondo azzurro chiaro, l'autoritratto dell'artista con gli occhi spalancati assiste al brulicare di forme incongrue che affollano l'immagine: un asino in decomposizione, un torso femminile mutilo da cui stilla del sangue, frammenti di corpi e di strani animali circondati da oggetti indecifrabili.
Nel dipinto su tavola compare anche la testa di Lorca, e tutta la scena è sovrastata da un busto rosato e mutilo che nella litografia non appare.
Spesso, infatti, queste opere grafiche isolano solo dei particolari di celebri dipinti: è il caso de Il sogno , tratto da una tela del 1931.
Qui è riprodotto un brano dello sfondo, dove alcune figure si coprono il volto in segno di compianto, o più probabilmente di vergogna.
Il senso di colpa, infatti, è una delle tematiche più presenti nell'immaginario dell'artista, e si lega in particolare alla sua riflessione sul complesso di Edipo.
Tutta la scena rimanda ai dipinti metafisici di De Chirico: l'articolazione dello spazio, l'ambientazione classica, le lunghe ombre proiettate sul terreno dalle figure simili a manichini, la luce dorata del mediterraneo e una atmosfera vagamente inquietante.
La poetica di Dalí si precisa intorno a temi e motivi che ricorrono ossessivamente nella sua produzione: nuclei tematici che assumono una forma visibile e che acquistano il valore di simboli.
I ricordi d'infanzia, il paesaggio catalano, le profondità della mente e il variegato mondo delle “cose” si legano senza soluzione di continuità grazie alle libere associazioni del “delirio paranoico”, e al contempo acquistano una fisionomia precisa in virtù del processo si sistemazione che l'artista sta attuando.
Forse, l'esempio più indicativo della paranoia critica di Dalí è fornito dalla sua riflessione su L'Angelus , il celebre dipinto di Jean-François Millet conservato al Musée d'Orsay di Parigi.
La sua ossessione per questa immagine ha origine nell'infanzia, poiché una riproduzione della tela di Millet era appesa nel corridoio della scuola elementare di Figueras.
La scena dei due contadini in preghiera alla luce del crepuscolo, isolati e immobili nel silenzio della campagna, suggeriva al piccolo Dalí un vago sentore di angoscia.
Anni dopo, con sorprendente rigore argomentativo, ha esposto la sua analisi paranoico-critica del dipinto in un lungo saggio iniziato nei primi anni trenta e pubblicato integralmente solo nel 1963.
Dietro a questa immagine di pietà contadina, Dalí scorgeva significati sinistri, soffermandosi in particolare sull'immobilità e il silenzio delle due figure, sulla raffigurazione dell'attesa, sul presagio che qualcosa di terribile stia per accadere.
La figura femminile appare come una mantide in preghiera, che si prepara ad accoppiarsi col maschio per poi ucciderlo, laddove l'uomo attende il proprio sacrificio con atteggiamento passivo, stringendo nervosamente il cappello tra le dita.
Ma seguendo i passaggi associativi di Dalí, le due figure assumono anche le connotazioni della coppia madre e figlio, e finiscono per identificarsi con Gala e lo stesso Dalí.
Le variazioni sul tema de L'Angelus compaiono ininterrottamente, lungo tutto l'arco della sua attività, in molte delle sue opere.
Si veda Monumento imperiale alla donna-bambina, Gala (Fantasia utopica) , dove le rocce metamorfiche della costa catalana si ergono a monumento della musa e compagna dell'artista, mentre la coppia de L'Angelus si profila all'orizzonte; oppure Reminescenza archeologica dell'Angelus di Millet – una variazione sul tema di Vestigia ataviche dopo la pioggia – dove le rovine archeologiche circondate dai cipressi assumono la forma dei protagonisti de L'Angelus , che si stagliano monumentali contro il cielo azzurro in un paesaggio arido e spoglio.
All'inizio degli anni trenta, dunque, sembra esistere una totale sintonia tra Dalí e i propositi del Surrealismo, specie per il superamento della contraddizione tra “necessità logica” e “necessità naturale”.
Ma i dissapori con il gruppo non tardano a manifestarsi, dal momento che l'artista catalano mostra di non allinearsi alle posizioni ideologiche dei compagni, rifiutando di assoggettare le ragioni della sua pittura a questioni di ordine politico e morale.
L'immagine dissacrante di Lenin che compare ne L'enigma di Guglielmo Tell , esposto al Salon des Indépendants del 1934, provoca la prima frizione con il gruppo, ma a causare la rottura definitiva è l'interesse di Dalí per la figura di Hitler, che l'artista propone di considerare esclusivamente “dal punto di vista surrealista”.
In effetti, la sua ricezione degli eventi che sconvolgono l'Europa negli anni trenta è “rigorosamente paranoica e apolitica”, come egli stesso ha più volte rivendicato, e non è difficile riconoscere che anche di fronte ai fatti più drammatici del suo tempo Dalí ha mantenuto fede ai valori di un “surrealista integrale”.
Ma in un momento in cui tutto il mondo intellettuale è scosso dall'urgenza di prendere una posizione netta rispetto a ciò che sta accadendo, l'atteggiamento di Dalí risulta indifendibile, e finisce per determinare il suo isolamento.
Di fronte a un evento come la guerra civile spagnola, tragico preludio della seconda guerra mondiale e sanguinoso terreno di scontro tra democrazia e dittatura, che spinge Picasso a dipingere la più alta denuncia degli orrori della guerra e dello stato di barbarie in cui è caduto il XX secolo, non c'è più posto per il “gioco disinteressato del pensiero” né per la visione “apolitica” di Dalí, che inizialmente considera l'evento come l'esito naturale dell'instabilità politica del suo paese, per poi schierarsi con i vincitori al termine del conflitto.
La frattura con il gruppo di Breton rimane insanabile, e gran parte del mondo intellettuale europeo maturerà quella diffidenza per Dalí che, almeno in parte, non ha ancora abbandonato. In compenso, il suo successo commerciale e la notorietà presso il grande pubblico non cessano di crescere, e proprio nella seconda metà degli anni trenta l'artista realizza alcuni dei suoi capolavori più celebri.

Le metamorfosi di Dalí
Metamorfosi di Narciso , dipinto nel 1937, riveste un'importanza capitale nella produzione dell'artista.
Poco dopo aver terminato la tela, Dalí pubblica un lungo poema sullo stesso tema, accompagnato da un invito alla lettura dell'opera.
Dalí riflette a lungo sul mito del bellissimo giovane che, innamoratosi della propria immagine riflessa nelle acque di un lago, annegò nel tentativo di abbracciarla e venne trasformato in un fiore.
Indubbiamente, il mito di Narciso attiene a un aspetto della psiche umana a cui Dalí non è certo estraneo, ma questa componente della vicenda narrata da Ovidio non esaurisce le motivazioni dell'interesse del pittore.
La sua attenzione si rivolge anche a quel riflesso ingannevole che Narciso vide nell'acqua, e che causò la sua tragica fine.
Infatti, nella seconda metà degli anni trenta la ricerca di Dalí si concentra soprattutto sui fenomeni percettivi, sulla natura illusoria delle apparenze, sul rapporto tra realtà e finzione, ed è proprio da questa riflessione che scaturiscono i dipinti basati sulle immagini multiple, dove Dalí dispiega tutto il suo virtuosismo illusionistico.
Dal punto di vista stilistico, queste opere mostrano la ricerca di un'armonia formale, di una nuova classicità, che si deve alla rinnovata attenzione di Dalí per le opere del Rinascimento italiano.
In Metamorfosi di Narciso , da molti considerato il suo capolavoro, la vicenda del giovane è scandita in tre sequenze temporali, a cominciare dallo sfondo, dove il ragazzo compare in piedi su un plinto, pago della sua bellezza, mentre poco lontano si raccoglie un gruppo di persone che invocano vendetta per la ninfa Eco, morta d'amore per lui.
In primo piano si compie la punizione decretata da Nemesi: a sinistra il giovane si sporge sulle acque, scorgendovi fatalmente il proprio riflesso, mentre la sua immagine si sdoppia, e sulla destra sorge una mano che sostiene un uovo, da cui nasce il fiore che porta il nome di Narciso.
Nel 1938, quando finalmente riesce a incontrare Sigmund Freud, Dalí gli mostra questo dipinto, che egli stesso considera una delle sue creazioni più significative.
Il punto culminante di questa ricerca, che informa anche opere come Cigni riflessi in elefanti , è rappresentato da L'enigma senza fine , dove sei nuclei figurativi distinti si fondono in un'unica immagine.
Nel catalogo della mostra che si tiene nella primavera del 1939 alla Julien Levy Gallery di New York, la riproduzione del dipinto è accompagnata dai disegni che mostrano le singole componenti dell'opera: sullo sfondo di una spiaggia catalana, una testa monumentale (probabilmente un ricordo di Federico García Lorca), una natura morta, una figura coricata e il profilo di animali immaginari si sovrappongono, si avvicendano, si trasfondono l'uno nell'altro come in un'allucinazione. La mostra di New York si rivela un successo, sia per la partecipazione del pubblico, sia per l'entità delle vendite, sia per l'attenzione che i media dedicano all'evento. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Dalí non esita a trasferirsi negli Stati Uniti, dove trascorre quasi tutto il decennio successivo.
Anche molti dei surrealisti riparano in America, raccogliendosi intorno alla galleria di Peggy Guggenheim, Art of this Century, ma la distanza con il gruppo rimane incolmabile.
L'America si rivela un terreno estremamente fertile per Dalí che, in un contesto culturale così diverso da quello europeo, può mettere a frutto tutto il suo esibizionismo, il gusto per la provocazione, l'abilità nell'uso dei media per alimentare l'attenzione di un pubblico sempre più curioso e di un mercato sempre più disposto a pagare cifre esorbitanti per le sue opere.
Cionondimeno, anche la critica più raffinata mostra interesse per la figura di Dalí, che si profila sempre più chiaramente come uno dei maggiori protagonisti dell'arte del Novecento. La sua attività tocca gli ambiti più diversi: non solo la pittura e la scultura, ma anche la creazione di gioielli e oggetti surrealisti, il design e la moda, la decorazione di interni e la scenografia, la scrittura e l'illustrazione, la fotografia e il cinema.
Non è solo l'ambizione a muovere Dalí verso queste escursioni, è la sua naturale inclinazione alla multimedialità, la tendenza a riprodurre temi e motivi nelle sfere creative più diverse, pur mantenendo intatta la sua inconfondibile cifra stilistica.
Si pensi alla collaborazione con Alfred Hitchcock per le scenografie di Spellbound [ Io ti salverò ], o ai fondali per il Tristano folle , il balletto rappresentato nel 1944 all'International Theatre di New York.
Una delle litografie in mostra, La tentazione di S. Antonio , è tratta da un dipinto che Dalí realizza in occasione di un concorso indetto nel 1946 dal produttore cinematografico Albert Lewin per un film ispirato a Bel Ami , il romanzo di Guy de Maupassant. La pellicola, girata in bianco e nero, dovrebbe includere alcuni fotogrammi a colori, una breve sequenza in cui è ripreso un dipinto sul tema della tentazione di S. Antonio. Tra i partecipanti al concorso, molti provengono dalle fila del Surrealismo, primo fra tutti Max Ernst, che vincerà la competizione, mentre Marcel Duchamp fa parte della giuria. Nell'opera di Dalí, la figura dell'asceta che brandisce la croce per esorcizzare le proprie tentazioni occupa l'angolo inferiore sinistro, mentre tutta l'immagine è dominata dal cavallo impennato e dalla teoria di elefanti che recano le lusinghe del piacere dei sensi, di ricchezze mondane e ogni sorta di felicità terrena. In questa scena, ambientata nel deserto egiziano, compare un elemento estraneo alla vicenda, il quale però riveste un importante valore simbolico: tra le nuvole in alto a destra affiora la sagoma dell' Escorial , il buen retiro di Filippo II di Spagna, costruito con forme squadrate ed essenziali secondo il progetto dell'architetto Juan de Herrera. L'edificio cinquecentesco dell' Escorial rappresenta l'ideale ascetico, la rinuncia al mondo, l'affermazione dei valori spirituali, e dunque la sua apparizione in alto a destra, proprio al termine della diagonale che guida il percorso visivo, simboleggia l'esito della lotta interiore che si agita nell'animo del santo con la definitiva vittoria sulle tentazioni. La tematica religiosa acquista un rilievo crescente nel pensiero di Dalí, che gradualmente si avvicina al Cattolicesimo, tanto da chiedere un'udienza presso Pio XII, che incontra nel 1949 al suo ritorno in Europa, presentandogli la prima versione della Madonna di Port Lligat .
La sua pittura ora recupera l'iconografia della tradizione cristiana e lo stile degli antichi maestri, ma la tensione mistica di Dalí si accompagna all'interesse per le recenti scoperte scientifiche, specie nel campo della fisica nucleare, che si impone all'attenzione del mondo intero dopo il lancio della prima bomba atomica.
Fedele a quella matrice dualistica che ha sempre contraddistinto la sua poetica – si pensi al delirio sorvegliato della paranoia critica, o all'antitesi tra forme molli e forme dure – ora l'artista sviluppa quello che egli stesso definisce “misticismo nucleare”.
Il suo interesse si rivolge all'infinitamente piccolo e all'infinitamente grande in egual misura, guidato da una ricerca di ordine, purezza e geometria che trova appagamento nella scienza e nella teologia, ma anche nella lettura dei trattati di estetica neoplatonica.
La Leda Atomica e le due versioni della Madonna di Port Lligat mostrano una composizione rigorosamente simmetrica e un nitore formale che rimanda a Piero della Francesca, e sempre più spesso Dalí riproduce nelle sue opere la struttura ordinata e geometrica che ritrova nella Chiesa cattolica e nelle moderne scoperte scientifiche.
Ma questa svolta, pur informando gran parte della sua produzione, non elude la componente irrazionale e visionaria che da sempre lo accompagna, né le sottrae quel valore conoscitivo che l'artista le ha sempre attribuito.
Nella sua produzione tarda, la finitezza dell'universo e la divisibilità della materia coesistono con una proliferazione di angeli, demoni, unicorni, minotauri e creature fantastiche, mentre persistono le sue ossessioni più tipiche e riaffiorano le sue icone più note, come l'orologio molle che compare ancora alla fine degli anni settanta in Alla ricerca della quarta dimensione . Fino alla fine, l'artista ingaggia un confronto costante con la storia dell'arte e con la propria storia personale, in cui si intrecciano i percorsi delle sue incessanti metamorfosi.

Declinazioni e percorsi del Surrealismo
Il Surrealismo compare sulla scena culturale del XX secolo dopo l'azzeramento nichilista perpetrato dai dadaisti, che si era posto come unica risposta possibile alla catastrofe della prima guerra mondiale.
Se è vero che il Surrealismo rappresenta l'ultima avanguardia del primo Novecento, esso è anche il primo movimento che, dopo quella violenta cesura, prospetta un sistema di valori alternativo a quello vigente, una vera e propria rifondazione della cultura su base programmatica. Nel campo delle arti visive le istanze del Surrealismo trovano un terreno estremamente fertile, tanto che si potrebbe parlare di una “linea surrealista” che percorre gran parte del secolo, e che prescinde dal susseguirsi di filiazioni, estromissioni, processi, rotture e apostasie che caratterizzano la vicenda del gruppo.
Tutti gli artisti rappresentati in mostra partecipano in varia misura alle iniziative collettive, ma ciascuno sviluppa un approccio del tutto personale alle tematiche e ai propositi del movimento, dando vita a una varietà di proposte che sfuggono a una precisa ortodossia.
André Breton registra e discute queste proposte nei testi raccolti in Le Surréalisme et la peinture , che seguono i percorsi dell'arte surrealista dalla metà degli anni venti alla metà degli anni quaranta. Un breve sguardo alle opere in mostra permetterà di enucleare alcune delle declinazioni a cui il Surrealismo ha dato vita.
Vi sono innanzi tutto le opere di Picasso e De Chirico, che alla fondazione del movimento vengono ascritti al movimento per averne precorso le istanze nella loro produzione precedente.
È unanime il consenso che i surrealisti tributano al pittore della Metafisica, considerato come un geniale precursore della loro poetica.
Gli enigmi e le atmosfere sospese dei dipinti degli anni dieci, gli accostamenti inconsueti di elementi incongrui, la ricerca di un senso che trascende la realtà delle cose, l'alterazione della dimensione spaziotemporale e il disorientamento che ne deriva, unito a stupore e meraviglia, sono i tratti distintivi della Metafisica che i surrealisti fanno propri.
Le prime opere metafisiche di De Chirico compaiono al Salon d'Automne del 1912, e per tutto il decennio vengono ampiamente riprodotte nelle riviste d'avanguardia.
Guillaume Apollinaire, che è uno dei principali ispiratori del Surrealismo, usa il termine “ surnaturel ” per definire la pittura di De Chirico, come poi definirà “dramma surrealista” il suo Les mamelles de Tiresias , nel 1917, inaugurando l'uso di questo lemma.
A partire dall'inizio degli anni venti si intensificano i rapporti tra De Chirico e i giovani poeti che daranno vita al movimento: nel 1922 Breton scrive la presentazione di una mostra dell'artista, definendolo il vate della nuova “mitologia moderna”, e l'anno seguente Eluard si reca a Roma, insieme alla moglie Gala, per visitare l'atelier del pittore ed acquistare alcune sue opere.
Ma è nel 1924, l'anno della pubblicazione del Manifesto , che gli adepti della nuova poetica tributano il dovuto omaggio a colui che considerano il loro padre spirituale.
Sulla copertina del primo numero de “La révolution surréaliste”, De Chirico è ritratto insieme ai surrealisti in una foto di gruppo scattata da Man Ray; sulla parete della stanza campeggia un suo dipinto, proprio dietro alla testa di André Breton.
Tra le pagine della rivista sono riprodotte diverse sue opere ed è pubblicato un suo scritto, Rêve , che riveste un valore programmatico per i poeti e gli artisti che inneggiano alla dimensione del sogno e dell'inconscio.
Ma alla metà degli anni venti De Chirico è ormai avviato verso il “ritorno all'ordine” e, per quanto cerchi di convincere Breton dell'opportunità di un ritorno al mestiere e di profondo riesame delle avanguardie, la rottura con il movimento si sta già consumando.
Nel 1926 su “La révolution surréaliste” è riprodotto un dipinto della nuova fase di De Chirico, significativamente ricoperto di sfregi, ad affermare la ricusazione del nuovo corso intrapreso dal pittore.
Dal canto suo, nei suoi scritti autobiografici l'artista non risparmierà le critiche ai componenti del gruppo, che comunque continueranno a includere i dipinti metafisici alle mostre collettive e a riprodurli nelle riviste del movimento.
Tra tutti coloro che aderiscono al Surrealismo, forse l'artista più vicino a De Chirico è proprio Salvador Dalí.
Oltre all'importanza attribuita da entrambi al recupero della grande tradizione artistica, li accomuna l'orgogliosa rivendicazione della propria appartenenza alla civiltà mediterranea di derivazione greco-romana, e li avvicina l'attrazione per la dimensione del mito, considerato come patrimonio dell'inconscio collettivo che si fonde indissolubilmente con il vissuto personale, nonché il gusto per la rievocazione archeologica esibita negli spazi riconoscibili di un presente senza tempo. È indubbio che le affinità tra i due artisti non si esauriscono con la fase metafisica di De Chirico, a differenza di quanto accade con gli altri surrealisti.
Diverso è il caso di Picasso, che viene ascritto al Surrealismo prima ancora che la sua produzione manifesti delle tangenze con i propositi del movimento.
Fin dal primo decennio del secolo, Picasso aveva definitivamente scardinato tutte le convenzioni della rappresentazione visiva, inaugurando un nuovo corso della storia dell'arte.
Nei modi della figurazione e nella resa della dimensione spaziotemporale aveva mostrato la possibilità di una sintesi tra realtà oggettiva e realtà cerebrale; attingendo a fonti estranee alla tradizione occidentale, aveva debellato una concezione della bellezza che si era tramandata per secoli; includendo nelle sue opere materiali prelevati dalla realtà, aveva liberato anche la tecnica artistica dal retaggio delle norme accademiche, ed era solo all'inizio del suo lungo percorso creativo.
Per questo, alla fondazione del movimento Breton gli attribuisce il ruolo di precursore del Surrealismo, nonché di autentico genio del Novecento e padre indiscusso di tutte le avanguardie.
Dalla metà degli anni venti ai primi anni quaranta Picasso è effettivamente un “compagno di strada” dei surrealisti e, pur mantenendosi su posizioni autonome, manifesta una sintonia con la poetica del movimento in buona parte della sua produzione, dalla grafica alla pittura, dagli assemblaggi di oggetti alla scrittura automatica, fino alla stesura di un testo teatrale di ispirazione surrealista: Le désir attrapé par la queue del 1941. Anche oltre questa data, però, nell'opera di Picasso affiorano temi, motivi o soluzioni stilistiche che in qualche modo rimandano al Surrealismo: si veda la resa del Ballerino , o la moltiplicazione della propria immagine negli Autoritratti del 1968.
All'inizio degli anni settanta, quando il critico Wieland Schmied chiede a diversi artisti di realizzare delle opere grafiche come tributo al maestro, raccolte poi nella cartella Omaggio a Picasso , sono molti i surrealisti che partecipano all'iniziativa – Joan Miró, André Masson, Wifredo Lam, Roberto Sebastián Matta e Hans Bellmer –, e se in alcuni casi l'omaggio è più esplicito, come nel foglio di Miró, in cui si delinea il nome dell'amico, o in quello di Matta, che richiama esplicitamente la composizione di Guernica , in tutte le opere il tributo al maestro si dispiega nello stile più tipico di ciascuno degli artisti, come attestano le grafiche esposte in mostra.
La volontà di segnalare delle ascendenze, di stabilire una linea di continuità con i grandi protagonisti del passato, non si esprime solo nelle arti figurative ma anche e soprattutto in ambito letterario: un poeta come Lautréamont, scomparso nel 1870 all'età di soli ventiquattro anni, deve la sua fortuna principalmente ai surrealisti, che lo eleggono come vate della loro poetica, dedicandosi all'illustrazione delle sue opere e alla ricerca di manoscritti inediti, nonché alla pubblicazione delle sue poesie nelle riviste del movimento. In mostra compaiono alcune grafiche di Bellmer che illustrano le Poesie di Lautréamont, e molte altre opere ispirate al poeta ottocentesco nascono nell'ambito del Surrealismo: basti ricordare il ciclo di illustrazioni di Les Chants de Maldoror realizzato da Dalí, o L'enigma di Isidore Ducasse , una delle creazioni più poetiche di Man Ray.
A Lautréamont si deve la celebre frase che il movimento assume quasi come parola d'ordine: “bello come l'incontro fortuito di un ombrello e una macchina da cucire su un tavolo anatomico”, che prefigura quegli accostamenti incongrui e stranianti da cui sorge una nuova e inattesa bellezza.
Anche Jarry gode di una particolare stima presso i surrealisti: al personaggio di Ubu sono dedicate le grafiche di Miró presenti in mostra e, per citare solo uno dei molti esempi di questa ininterrotta attenzione, nel 1937 Max Ernst cura la scenografia dell' Ubu enchainé, il secondo episodio della assurda vicenda di questo ometto ordinario che si ritrova, quasi suo malgrado, a trasformarsi in tiranno crudele e spietato.
Vi sono poi i Cadavres exquis , una delle espressioni più tipiche del Surrealismo, specie nella prima fase, quando la continuità con il Dadaismo è ancora molto sensibile.
È un gioco che prende vita nel 1925, un'attività collettiva in cui i diversi partecipanti appongono su un foglio, che passa di mano in mano, dei frammenti di testi o di immagini senza poter vedere ciò che è stato scritto o disegnato in precedenza. Il “caso” svolge dunque una funzione essenziale nel configurarsi dell'opera, nella quale è pressoché impossibile, oltre che inutile, tentare di distinguere le singole componenti per risalire ai diversi autori.
L'importanza attribuita alla casualità, di ascendenza dadaista, si riversa nel Surrealismo senza soluzione di continuità, insieme ad altre conquiste del Dada internazionale: in primo luogo l'uso dell'oggetto e la tecnica del collage.
Man Ray, che è uno dei migliori interpreti della “poetica dell'oggetto”, propone accostamenti insoliti, apparentemente privi di senso, che lasciano libero spazio all'immaginazione, come la spilla da balia che fluttua su un paesaggio d'invenzione in Ciò che manca a tutti noi , o la pistola giocattolo unita a una calamita in Compasso .
Duchamp, che nei suoi celebri ready-made aveva proposto un diverso uso dell'oggetto, di matrice più fredda e concettuale, perviene al Surrealismo dopo aver lasciato incompiuta la sua opera principale, La mariée mise a nu par ses célibataires, même. Il grande vetro , riprodotta nelle acqueforti presenti in mostra.
L'artista lavora al Grande vetro dal 1915 al 1923, ma i primi progetti risalgono al 1911: una gestazione lunga e articolata e una laboriosa esecuzione tecnica, per un'opera dall'iconografia estremamente complessa, dove le strutture meccanomorfe danno vita a una rappresentazione erotica – nella parte superiore l'elemento femminile, nella parte inferiore l'elemento maschile - o, secondo altri, a una variazione sul tema dell'Assunzione.
Sul versante del collage si muove invece la ricerca di Max Ernst, che gran parte della critica considera il più autorevole esponente del Surrealismo, come del resto affermava lo stesso Breton.
Proveniente dalle fila del Dada di Colonia ed erede di una tradizione romantico-simbolista particolarmente viva in Germania, Ernst dà voce a tutte le istanze del Surrealismo sperimentando l'uso di tecniche e materiali eterogenei.
Se in parte della sua produzione è ancora vivo lo spirito dissacrante di Dada, come nel romanzo-collage Una settimana di bontà , in cui Ernst rielabora illustrazioni ottocentesche per ottenere effetti stranianti e paradossali, altrove prevale la volontà di attingere alla sfera dell'inconscio per rivelare una verità interiore che finisce per investire ogni forma visibile.
Lo strumento privilegiato per attuare questo proposito, che è essenziale per la poetica surrealista, è il ricorso all'automatismo, ovvero il corrispettivo grafico e pittorico della scrittura automatica praticata dai poeti.
Sono molti gli artisti che sperimentano l'automatismo, registrando ogni pulsione interore sul supporto e assistendo quasi da spettatori al configurarsi spontaneo dell'opera, ma il ricorso alla scrittura automatica non è mai esclusivo, e sembra piuttosto rivestire un valore sperimentale e propedeutico alla liberazione degli impulsi creativi, per poi confluire in composizioni più attentamente calibrate, come rivelano le opere di Masson, Miró e Matta. Queste composizioni oscillano continuamente tra astrazione e figurazione, poiché la vitalità interna dell'immagine altera i rapporti tra figura e sfondo, dilata e contrae gli spazi, confonde i contorni delle forme che provengono da una dimensione altra rispetto alla realtà oggettiva.
Per sua stessa natura, il Surrealismo è indifferente a una netta distinzione tra astratto e figurativo o a precise limitazioni di campo.
Tuttavia, se si osservano i lavori di Calder, Arp e Miró, emerge una linea esplicitamente aniconica che attraversa il Surrealismo e che mostra una fisionomia ben precisa.
Infatti, a prescindere dal maggiore o minor grado di riconoscibilità delle forme, anche laddove sembra profilarsi una geometria più nitida esse mostrano pur sempre una derivazione organica e naturale e una assoluta essenzialità cromatica e formale.
Come abbiamo detto, l'automatismo non è che una delle componenti della produzione surrealista.
L'esplorazione dei meandri più riposti della mente, infatti, si esprime anche sul piano delle scelte tematiche, oltre che nell'ambito della sperimentazione tecnica.
L'erotismo tormentato di Hans Bellmer, che distorce le anatomie dei corpi con una violenza e una forza visionaria inaudita, o il recupero della dimensione mitica e archetipica che connota le opere di Victor Brauner, testimoniano in modi diversi la profonda sintonia tra l'arte surrealista e le ricerche di Freud e di Jung.
Su un altro versante, con una tecnica volutamente tradizionale e accademica, René Magritte indaga i meccanismi della conoscenza, esibendo oggetti riconoscibili all'interno di luoghi e situazioni incongrue, che evocano una dimensione arcana e mettono in discussione le nostre abitudini percettive.
Questo non è una pipa svela l'artificiosità della raffigurazione, asserendo l'alterità tra l'oggetto reale, la sua rappresentazione visiva e la sua definizione linguistica.
Per l'ampia diffusione internazionale e per la varietà delle sue proposte, nel corso del XX secolo il Surrealismo ha mantenuto una vitalità tale che non permette di stabilire quando e se si sia mai esaurito.
Certamente ha lasciato una eredità fondamentale agli artisti della seconda metà del secolo, e se in Europa aveva radici ormai profonde che non mancheranno di produrre nuovi frutti, con l'esilio dei suoi protagonisti in America negli anni del conflitto ha determinato alcuni degli sviluppi più caratterizzanti dell'arte del secondo dopoguerra, quando è venuto profilandosi sempre più chiaramente il ruolo degli Stati Uniti come nuovo centro propulsore a livello mondiale.
Sono molte le linee di sviluppo che hanno origine nel Surrealismo e si proiettano verso nuove e più attuali soluzioni.
La più evidente è la linea che collega le esperienze di Ernst, Matta, Masson e Miró agli sviluppi dell'Action Painting e dell'Espressionismo Astratto, ma vi è anche una linea che collega le ricerche di Magritte e Duchamp al Concettualismo del secondo dopoguerra, mentre appare sempre più evidente che tutta “l'arte del corpo” che ha caratterizzato gran parte del panorama artistico degli ultimi decenni trova in Hans Bellmer un precedente significativo.
Anche da questo punto di vista il caso di Dalí è piuttosto singolare, poiché non è solo la sua produzione ad aver influito sulle vicende dell'arte contemporanea, ma è anche la sua personalità, il suo modo di presentarsi al pubblico e di servirsi dei mezzi di comunicazione, la sua ricettività nei confronti dei mutamenti culturali del suo tempo, che in qualche misura apre la strada alle ricerche di Andy Warhol e della Pop Art.
All'inizio degli anni quaranta, la bottiglia di Coca-Cola che compare in Poesia d'America (Gli atleti cosmici) preannuncia la programmatica esibizione dei prodotti di consumo che vent'anni più tardi connoterà la produzione della Pop Art, ma l'affinità tra Dalí e Warhol ha radici più profonde e motivazioni più ampie.
Come Warhol, Dalí ha compreso a fondo i meccanismi di una società dominata dall'immagine, dove i confini tra cultura alta e cultura popolare si confondono, dove l'artista diventa un personaggio e l'arte diventa spettacolo.